Durante la Repubblica di Weimar, fra il 1919 e il 1933 la Germania conobbe una intensa fase di espansione artistica, culturale e scientifica. Il filosofo Ernst Bloch descrisse quel periodo come una nuova "età di Pericle".
Questo ampio fermento culturale è stato denominato "cultura di Weimar", sebbene tale definizione sia stata criticata in quanto etichetta applicata a posteriori a fenomeni culturali molto eterogenei, per quanto compresenti. Lo storico Hagen Schulze ha scritto:
«Espressionismo e post-espressionismo, nuova oggettività, realismo metafisico, dadaismo, futurismo, cubismo, primitivismo, l'arte propugnata dalla rivista Merz di Kurt Schwitters, il verismo, il suprematismo, il progressivismo, il funzionalismo, il neoclassicismo: tutto ciò si affastella nel giro di un decennio, crea scuole e discepoli che si combattono accanitamente tra loro, di volta in volta si presenta come assolutamente nuovo, unico e diverso: uno scintillante caleidoscopio di forme e colori mai visti prima. Tuttavia la "cultura di Weimar" è un mito, nato nei caffè di Praga e di Parigi, nell'università in esilio di New York, nelle colonie di profughi della Costa Azzurra o della costa occidentale americana, dopo la fuga e l'espatrio dei molti intellettuali che hanno dato forma e colore agli anni venti.[1]»